Biomodelli stampati in 3D e obblighi di conservazione

Le repliche tridimensionali di lesioni corporee, ricavate a partire dalla elaborazione di immagini ottenute da tomografie computerizzate (TAC) o risonanze magnetiche (RM) vantano una utilità sempre crescente sia in ambito didattico che nel contesto clinico.

Se in fase di training la stampa 3D di modelli anatomici per la formazione dei medici specializzandi ha il pregio di consentire a questi ultimi di acquisire conoscenze su specifiche patologie non sempre presenti nei cadaveri utilizzati a scopo didattico, quando tali strumenti vengono utilizzati con finalità clinica o di comunicazione medico-paziente assumono una rilevanza tale da renderne necessaria una adeguata conservazione.

Basti pensare alla possibilità che tali repliche forniscono ai chirurghi di svolgere su di esse una accurata analisi preoperatoria step by step, in alcuni casi essenziale per la corretta riuscita dell’intervento.

Inoltre, l’utilizzo nel colloquio clinico dei biomodelli, per illustrare in maniera precisa alla persona assistita le caratteristiche specifiche della sua lesione e le modalità dell’intervento, ha il potenziale di migliorare la comunicazione medico-paziente e di permettere l’ottenimento più idoneo possibile di un consenso realmente informato.

Per tenere traccia di utilizzi di tale importanza, è indispensabile che le strutture sanitarie implementino protocolli, sia organizzativi sia tecnologici, finalizzati ad una corretta gestione e conservazione dei biomodelli, individuando strategie compatibili con le politiche di dematerializzazione, che con questa necessità si mostrano in forte contrasto.

Se da un lato può risultare di enorme utilità di tenere traccia di questa modalità innovativa di acquisizione del consenso informato, dall’altro omettere una appropriata archiviazione delle repliche impiegate dal medico per eseguire il planning prechirurgico impedisce la disponibilità del modello come elemento di prova in un contenzioso medico-legale in caso di danno al paziente cagionato dall’intervento in sala operatoria.

Allo stesso modo, deve essere correttamente conservato il formato digitale da cui è originata la stampa del biomodello.

L’idonea acquisizione ed analisi dei dati digitali ottenuti dal processo di stampa 3D è, infatti, imprescindibile per una corretta formazione della prova forense e per attribuire le responsabilità, tra i diversi operatori, in caso di danno al paziente.

In particolare, la disponibilità sia del file in formato STL che della replica sono necessarie per verificare la corrispondenza tra modello digitale e modello stampato, al fine di verificare se eventuali anomalie siano intervenute in fase di utilizzo del software o in fase di stampa o, ancora, se l’esito infausto dell’intervento sia stato indipendente dall’uso del modello, privo di anomalie, e quindi l’errore sia occorso successivamente, in sala operatoria.

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L’avvocato Maria Livia Rizzo svolge attività di consulenza legale stragiudiziale nel settore sanitario pubblico e privato nell’ambito della protezione dei dati personali – con

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